Gli assistenti vocali come Alexa fanno parte della nostra vita quotidiana da tempo. Non a caso, oggi come oggi, si parla sempre di più di smart home. Invitare i dispositivi intelligenti che abbiamo acquistato ad accendere la luce o a mettere la playlist perfetta per il lavoro o per la cucina è comodo, su questo non ci sono dubbi. Come si può leggere sulle pagine del blog di privacylab.it, esiste un rovescio della medaglia non indifferente. Non bisogna dimenticare infatti che i dispositivi smart, oggi come oggi, si contraddistinguono per notevoli falle relative alla privacy. Scopriamo nelle prossime righe quali sono e come si sta muovendo il legislatore per arrivare, il più in fretta possibile, a poter parlare di intelligenza artificiale compatibile con la riservatezza degli utilizzatori.
Alexa, i problemi di privacy
Alexa, il famosissimo assistente vocale di Amazon, si contraddistingue per diversi aspetti problematici relativamente alla gestione della privacy degli utilizzatori. Prima di tutto, è il caso di rammentare che, quando il microfono è acceso e il dispositivo rileva una parola simile al suo nome commerciale. Un altro aspetto sul quale vale la pena soffermarsi riguarda la presenza sul mercato di personal stylist smart, dispositivi IA che, di fatto, sono in grado di vedere cosa abbiamo nell’armadio e di consigliarci l’outfit migliore.
Ricordiamo infine che Alexa è in grado di registrare le conservazioni in cui è presente la parola “attivazione” e che, dal momento che suggerisce già diverse skill, si prospetta che, in un futuro non tanto lontano, possa arrivare a proporre annunci targetizzati.
Come si sta muovendo il legislatore per far sì che l’intelligenza artificiale diventi sempre più vicina alle nostre esigenze di privacy? Scopriamolo assieme nelle prossime righe di questo articolo.
Il punto di vista della Commissione Europea sui dispositivi smart home
Quando si parla delle mosse istituzionali per arrivare, un giorno, ad avere un’intelligenza artificiale rispettosa della privacy, è doveroso citare il punto di vista della Commissione Europea, che ha messo in primo piano i requisiti perché i dispositivi smart diventano degli amici della nostra riservatezza. Ecco quali sono:
- Azione e sorveglianza da parte dell’uomo: l’intelligenza artificiale davvero attenta alle esigenze di privacy non dovrebbe mai e poi mai limitare l’autonomia umana per quanto riguarda la sorveglianza.
- Sicurezza degli algoritmi: da non dimenticare è anche la necessità di avere a che fare con algoritmi sicuri. Inoltre, dovrebbero risultare così robusti da non avere problemi a far fronte a eventuali errori sia in fase di progettazione, sia durante il ciclo di vita.
- Riservatezza dei dati e loro accessibilità da parte degli interessati.
- Tracciabilità
- Nessun rischio di discriminazione
- Promozione del benessere sociale e ambientale
Un caso che merita attenzione è quello dei produttori che si rivolgono al mercato europeo e che dovrebbero, visto il GDPR, ragionare in ottica di privacy by design. Cosa implica questo in concreto? La necessità di un consenso informato e della raccolta di dati solo per fini strettamente legati all’esecuzione del contratto.
Da non dimenticare è anche il focus sull’impossibilità di conservare i dati in eterno, per non parlare dei diritti, riguardanti gli interessati, a non vedere concretizzarsi decisioni che li riguardano sulla base di un trattamento automatico.
Di passi da fare ce ne sono diversi e, purtroppo, la situazione di partenza è tutto tranne che rosea. Non bisogna infatti dimenticare che, mentre stiamo scrivendo questo articolo, chi acquista dispositivi intelligenti come Alexa non riesce così facilmente ad accedere a tutto quello che riguarda i dettagli sulla data protection.
Non resta davvero che attendere di vedere cosa ci riserverà il futuro e, nel frattempo, armarci di buon senso. Ciò vuol dire, per esempio, disattivare il microfono del dispositivo e non autorizzare l’accesso alle proprie informazioni per il miglioramento dello stesso.